Matrimoni bianchi, neri e grigi: perché rimani e che impatto ha la scelta su di te e sui tuoi figli

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“Ma perché non te ne vai?” La domanda che tutti si fanno, ma a cui nessuno ha il coraggio di rispondere

Cari Divorziati Anonimi o aspiranti tali, oggi ci poniamo una domanda comune per chi vive un matrimonio infelice “Ma perché non vi lasciate?” Spesso, le risposte sono frasi di circostanza come “per i figli” o “in fondo così funziona: mi sono abituato/a”.

Ora, non è che voglio fare lo psicologo da salotto, però, da uomo, posso dirvi che spesso siamo i primi a rimanere intrappolati in questo circolo vizioso. E questo perché da piccoli ci hanno insegnato che mollare è da deboli, che dobbiamo sopportare per il “bene della famiglia” o che, se ci separiamo, finiremo a vivere in un monolocale con mobili dell’IKEA e un frigo vuoto (vi anticipo che vivere da soli non è poi così male, ma ci arriverete dopo).

E le donne, comunque, non sono da meno. Anche se a volte si presentano come il lato più emotivo e coraggioso della coppia, la realtà è che anche loro spesso si aggrappano a un matrimonio infelice. Solo che mentre noi uomini ci rifugiamo nel silenzio o ci convinciamo che in fondo lo fanno tutti, loro tengono duro perché “non posso permettere che quella vipera della suocera dica che ho fallito” oppure “meglio lui che dover riscaricare Tinder a 45 anni.” Capite il livello?

E poi, diciamolo: per entrambi i sessi c’è sempre l’importante argomento figli. “Rimango per loro,” dicono. Ed è anche vero. Ma la verità più grande è che rimanere in un matrimonio infelice, bianco o peggio ancora tossico, non fa bene a nessuno. Non a voi, non a loro e sicuramente non al cane, che, anche se non ve ne accorgete, risente di tutte le tensioni domestiche.

Ecco, in questo articolo, provo a fare un po’ di ordine nel caos emotivo che ci tiene legati a relazioni finite. Parleremo delle vere ragioni che ci spingono a restare (quelle di cui non si parla mai troppo), di cosa ci dice la scienza sul vivere in matrimoni senza amore e dei danni che, a lungo termine, possono fare a tutti: coppie, figli e anche a quel povero cane.

Le ragioni più comuni per rimanere in un matrimonio infelice

Proviamo a riassumere le principali:

Per i figli. Come anticipavo è il mantra di molti, convinti che il sacrificio sia inevitabile per evitare loro traumi. Ma la scienza ci dice altro: crescere in una casa piena di tensioni, anche silenziose, non fa bene a nessuno. I figli non hanno bisogno di genitori insieme a tutti i costi, ma di modelli di amore e rispetto. lo vedremo in dettaglio nel paragrafo successivo

Poi abbiamo il grande nemico di ogni cambiamento:

La convenienza. Lo sappiamo, siamo creature abitudinarie. La routine, per quanto noiosa, ci dà sicurezza. Ci alziamo, andiamo al lavoro, torniamo a casa, ci infiliamo sul divano e fingiamo che Netflix e un delivery consumato quasi senza parlare possano riempire il vuoto cosmico tra noi e il partner. Certo, cambiare significa sconvolgere tutto: “E se poi mi pento? Se rimango solo? E non riesco a trovare nessuno che mi sopporti come ha fatto lui/lei?”

Se ci pensiamo però questo immobilismo ha anche un’altra radice profonda:

la paura del giudizio sociale. E poi c’è la paura del giudizio sociale. In Italia, il divorzio è ancora visto come una sconfitta personale: ‘Ma come, divorzi? E i bambini? La casa? E il pranzo di Natale con i parenti?’ Spesso le famiglie d’origine non aiutano, aggiungendo pressione invece di sostegno. Ma se superiamo questa paura, ce n’è un’altra che ci aspetta dietro l’angolo: quella legata al portafoglio. Perché sì, separarsi non è solo un cambiamento emotivo, ma anche un investimento economico. Ed è qui che entrano in gioco:

i motivi economici. E qui, lasciatemi essere onesto: in molti casi è un argomento valido. Separarsi costa. Tra avvocati, mantenimenti e nuove case da affittare, il divorzio può essere un bel colpo al portafoglio. E questo spaventa tutti, ma forse gli uomini un po’ di più, visto che l’immaginario collettivo li dipinge come bancomat con le gambe. Se poi ci mettiamo anche le storie dell’orrore raccontate da amici separati (il classico “lei mi ha lasciato e ora abito in un garage e vivo di surgelati”), capiamo perché molti restano inchiodati. Ma attenzione: restare in un matrimonio per paura della povertà significa che state vivendo una vita che non vi appartiene, a costo di sacrificare la vostra felicità. Vale davvero la pena?

Ma spesso ciò che ci blocca di più è qualcosa di meno tangibile:

la dipendenza emotiva. Qui ci siamo dentro tutti, uomini e donne. Da un lato, alcuni uomini (sempre meno per fortuna) non avendo mai vissuto da soli temono di non sapersi organizzarsi la vita. Dall’altro, alcune donne (anche queste sempre meno) si convincono che sia meglio stare con lui (soprattutto se non è una relazione vessatoria) che ricominciare da zero. Addirittura alcune persone si dicono “A chi interesserebbe un/una quarantenne con figli e qualche chilo di troppo?” A tantissimi! ma non è quello il problema… entrambi sono bloccati da un’immagine di sé legata alla coppia, senza la quale si sentono persi. E così si finisce a vivere come coinquilini, a tempo indeterminato.

Il costo del rimanere in un matrimonio infelice

Ora che abbiamo capito perché si resta, è tempo di affrontare una verità scomoda: i costi di questa scelta. Perché restare in un matrimonio infelice non è gratis – e non parlo solo di soldi. I costi emotivi, psicologici e relazionali sono spesso più alti di quanto immaginiamo, e gli studi lo confermano.

Quando si rimane insieme senza amore, la coppia smetta di esistere come tale. Come dicevamo si diventa coinquilini, a volte nemmeno troppo cordiali. Fatevene una ragione: non siete una coppia, ma una società a responsabilità limitata.

A riguardo gli studi ci parlano della

  • La trappola degli investimenti, un concetto ben spiegato da Arkes e Blumer (1985) nei loro studi sui sunk costs (costi sommersi). In parole semplici, più investiamo tempo, energie ed emozioni in qualcosa, più facciamo fatica a lasciarlo andare, anche quando diventa evidente che quel qualcosa non funziona. In un matrimonio, questo si traduce nel pensiero: “Abbiamo già passato così tanto insieme, sarebbe uno spreco buttare tutto al vento.” Restiamo bloccati in una relazione che non ci rende felici solo perché abbiamo paura di ammettere che il tempo passato insieme è ormai perso.

E qui arriva il vero dramma: restare in una relazione infelice significa sabotare se stessi, giorno dopo giorno. È un prezzo troppo alto da pagare per una felicità che non arriva mai.

  • Depressione e ansia o addirittura problemi fisici: Gli studiosi del Journal of Family Psychology hanno scoperto che vivere in un matrimonio conflittuale, senza supporto emotivo, può avere gravi conseguenze sulla salute. Stress cronico, insonnia e persino problemi cardiovascolari sono solo alcune delle ombre che una relazione infelice può gettare sulla nostra vita. Ricercatori di Psychosomatic Medicine hanno osservato che lo stress coniugale cronico non solo ci toglie il sonno, ma mina anche il nostro sistema immunitario, lasciandoci più vulnerabili alle malattie. In altre parole, potresti stare lentamente minando il tuo benessere
  • Perdita di identità. Restare in un matrimonio infelice con le finzioni che esso comporta spesso significa perdere di vista chi sei davvero. Ti identifichi solo come “marito di” o “moglie di,” e tutto il resto – i tuoi sogni, le tue ambizioni, persino i tuoi hobby – finisce sullo sfondo. Per approfondire il tema potete leggere il nostro articolo Io non sono il mio Matrimonio!
  • Le aspettative sociali e culturali La psicologa Terri Orbuch, in uno studio del National Institute of Health, ha spiegato che molte persone rimangono in matrimoni infelici proprio per il timore di essere etichettate come “fallite.” La paura del giudizio sociale – da parte di amici, parenti, colleghi che all’improvviso ti vedrebbero come una persona diversa – diventa per alcuni un ostacolo insormontabile.
  • Dipendenza emotiva e autostima. Feeney e Noller, esperti nello studio dei legami di attaccamento, hanno dimostrato che chi ha uno stile di attaccamento ansioso spesso fatica a lasciare relazioni insoddisfacenti per paura dell’abbandono. E’ un fenomeno particolarmente comune in chi ha bassa autostima: si rimane nella relazione perché si crede di non meritare di meglio, o che nessun altro ci accetterebbe per come siamo.

E ora torniamo al punto dei figli, perché diciamocelo, rimanere insieme per loro non è sempre la scelta migliore. Gli studi sono chiari.

Chi la fa l’aspetti? Non proprio, ma quasi. Le ricerche più recenti nel campo della psicologia relazionale ci mostrano un quadro piuttosto preoccupante su come i figli tendano a replicare – spesso inconsapevolmente – i pattern relazionali dei genitori. Il Prof. Paul R. Amato , collaborando con Rezza negli anni ’90, ci ha mostrato come i conflitti coniugali non siano proprio il migliore “regalo di Natale” per i nostri pargoli, evidenziando una forte correlazione tra il caos emotivo dei genitori e il malessere psicologico dei figli. Ma la storia non finisce qui: Canavesi e Porta (2012) hanno aggiunto un tassello fondamentale al puzzle, spiegando come i “separati in casa” – quelli che condividono il tetto ma non gli affetti – rischiano di crescere figli con una sorta di analfabetismo emotivo, incapaci di leggere e gestire le proprie relazioni future.

Ma non è finita: uno studio presentato all’European Human Behaviour and Evolution Association di Cambridge ha rivelato che i figli maschi di padri infedeli sembrano aver preso appunti fin troppo dettagliati, mostrando una maggiore propensione a replicare questi comportamenti. Daniel J. Weigel (2011) ha poi messo il dito nella piaga, evidenziando come le figlie di madri infedeli sviluppino una sorta di “allergia alla fiducia” nelle relazioni. Gli psicologi McDermott e Goldstein  (2017) hanno confermato questo pattern transgenerazionale dell’infedeltà, sottolineando come il modello materno sia particolarmente influente sulle figlie.

Ulteriori conferme arrivano quando parliamo di attrazione per i narcisisti: Campbell e il suo team di ricerca hanno dimostrato (1994) come le figlie di padri narcisisti sembrino attratte da partner con le stesse caratteristiche, in una sorta di “dejà vu emotivo” che Young e Klosko spiegano e cercano di indirizzare attraverso la loro Schema Therapy. Miller e colleghi (2008) aggiungono che queste donne faticano persino a riconoscere le relazioni tossiche, come se indossassero degli “occhiali rosa” programmati per vedere normale ciò che normale non è.

Per quanto riguarda i matrimoni bianchi, sempre il Prof. Amato (2001) ci ricorda che crescere in famiglie emotivamente glaciali può portare a replicare lo stesso modello, creando relazioni prive di intimità. Fincham e May (2017) chiudono il cerchio dimostrando come questi pattern relazionali – dal tradimento alla distanza emotiva – vengano tramandati di generazione in generazione, come un’eredità non proprio desiderabile.

Per finire, è risaputo che i figli assorbono anche il non detto. Capiscono quando c’è tensione, anche se non ne capiscono la causa. Il risultato? Crescono con un senso di insicurezza, o peggio, con l’idea che il sacrificio personale sia una componente inevitabile dell’amore. È questo il messaggio che vogliamo lasciare?

Fermatevi un attimo a riflettere: se da adulto vostro figlio/a vi confidasse di vivere una relazione identica alla vostra – con le stesse dinamiche, le stesse scelte, gli stessi compromessi – cosa provereste? Sareste felici per lui/lei? che cosa consiglieresti loro?

La risposta a questa domanda potrebbe dirvi molto più di qualsiasi studio scientifico.

Un costo troppo alto?

Alla fine, restare in un matrimonio infelice ha un costo altissimo: si sacrifica la propria felicità, si perde la propria identità e, paradossalmente, si rischia di fare ancora più male ai figli. L’idea di restare ‘per il bene di tutti’ spesso è solo un’illusione. E allora, chiediamoci: vale davvero la pena continuare?

Cosa è peggio? Restare in una relazione che vi prosciuga l’anima o affrontare il rischio di ricominciare? Io credo che la risposta sia chiara. Perché, alla fine, una vita infelice non è una vita vissuta davvero. E se c’è una cosa che possiamo fare per noi stessi, è scegliere di essere felici. Sempre.

Il futuro possibile: la vita dopo il divorzio

Ed eccoci alla parte positiva: cosa succede dopo? Sappiate che c’è una luce in fondo al tunnel, e no, non è un treno che vi viene incontro. È l’opportunità di vivere una vita più autentica, finalmente vostra.

1. Riscoprire se stessi

Il divorzio, per quanto difficile, è un’opportunità per ritrovare chi siete davvero. È il momento di riscoprire i sogni e le passioni che avevate messo da parte. Che si tratti di iscriversi a un corso di cucina, tornare in palestra o pianificare quel viaggio che avete sempre rimandato, fate qualcosa che vi faccia sentire vivi. E se avete bisogno di ispirazione, vi consiglio il nostro articolo Separazione: cosa fare nei primi 300 giorni.

2. Creare nuove relazioni

La vita da single può sembrare un salto nel vuoto, ma è anche piena di possibilità. Dite sì a un invito a cena, accettate quell’aperitivo con i colleghi o semplicemente godetevi il piacere di stare soli con un buon libro. Ogni nuova relazione, che sia d’amicizia o qualcosa di più, è un’opportunità per arricchire la vostra vita e crescere come persona.

3. Diventare un modello per i figli

Se avete figli, questo è il momento di dimostrare loro che la felicità non è solo un sogno, ma una scelta concreta. Mostrate loro che il cambiamento può essere positivo e che non bisogna accontentarsi di una vita infelice. Non solo capiranno che avete fatto la scelta giusta, ma impareranno da voi il valore delle relazioni sane e appaganti. Sul tema figli, date un’occhiata al nostro articolo Papà Gen X all’avventura: guida semiseria per separati pronti a conquistare le vacanze (e a divertirsi con i propri figli!) – perché essere un buon genitore non si ferma con la separazione.

4. Guardare al futuro con ottimismo

Certo, potranno essere giorni difficili. Ma ogni giorno può essere un passo verso qualcosa di meglio: una nuova scoperta, una passione ritrovata o un semplice momento di pace con voi stessi. Il divorzio non è la fine; è l’inizio di un nuovo capitolo tutto da scrivere. Ricordate: non siamo qui per sopravvivere, ma per vivere.

E sì… la vita è davvero meglio dopo il divorzio – parola di chi ci è passato.😉


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