Sta per arrivare in Senato una proposta di legge, il disegno di legge 832, che – almeno a leggere certi articoli – sembrerebbe l’inizio dell’Apocalisse genitoriale. Il DDL 832 sulla bigenitorialità è stato definito “una minaccia per madri e bambini”, “una trappola patriarcale”, “una vendetta dei padri”. Qualcuno ha parlato perfino di figli usati come pacchi postali o costretti a vivere con il genitore violento (naturalmente sempre maschio, perché la narrazione è questa).
Noi però abbiamo deciso di leggerlo. Sì, tutto. Articolo per articolo. Con l’idea folle – e apparentemente fuori moda – di ragionarci su.
Per farlo, ho chiesto un confronto a Benedetta Petralia, che gestisce il blog Famiglia Inaspettata e con la quale stiamo provando a mettere a fuoco – da prospettive diverse ma complementari – i temi che toccano le famiglie che si trasformano.
Io, padre separato e fondatore di Life is Better After Divorce, vedo in questo disegno di legge alcune correzioni attese da anni. Lei, coach autrice e blogger, ci invita a riflettere su alcuni rischi concreti, senza ideologie né slogan.
Il risultato è questo articolo a due voci. Uno scambio – non uno scontro – su un tema che ci tocca tutti: come crescere figli felici anche dopo una separazione”

Affronteremo analiticamente (ma anche empaticamente) i vari punti che toccherebbe il decreto
1. Addio al “diritto di visita”: era ora
Marco:
Uno dei primi meriti del ddl 832 è che archivia per sempre il concetto medievale di “diritto di visita”.
Perché diciamolo: vedere mio figlio non è un favore che mi concede qualcun altro. Non è una concessione oraria come la sala riunioni del coworking. È parte della mia responsabilità e, soprattutto, del suo diritto. Il ddl abbandona la logica delle “visite” e parla di rapporto continuativo, equilibrato, paritetico. Non più “due weekend al mese” come standard, ma una frequentazione concreta e stabile.
È un passaggio culturale enorme: si smette di considerare un genitore “accessorio” solo perché non convivente, e si ristabilisce il principio che entrambi hanno un ruolo attivo nella vita del figlio.
2. La bigenitorialità vera (non solo sulla carta)
Marco:
Quando ho letto la parte del ddl 832 che dice chiaramente che i figli devono mantenere “un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno dei genitori, con paritetica assunzione di responsabilità e pari opportunità di frequentazione”, ho avuto un sussulto. Un buon sussulto.
Perché finalmente qualcuno ha il coraggio di dire che la bigenitorialità non può essere solo una parola nei decreti di separazione, per poi tradursi nella realtà in un padre che “visita” i figli due weekend al mese e una madre che li cresce da sola. Questo modello ha generato sofferenze, squilibri, rancori e una montagna di contenziosi.
Il ddl chiarisce che, salvo casi gravi, la regola deve essere la partecipazione vera, concreta, quotidiana di entrambi. Non perché i padri devono “riappropriarsi di qualcosa”, ma perché i figli non devono perdere nessuno dei due.
Sarà una novità rivoluzionaria? No. Doveva già essere così dal 2006. Ma la realtà è che molti tribunali italiani hanno continuato ad applicare una prassi che, pur parlando di affidamento condiviso, assegna di fatto la centralità educativa a un solo genitore. Questo ddl, almeno, prova a mettere nero su bianco che quella logica va superata.
3. Doppio domicilio e fine del “genitore prevalente”
Marco:
Una delle parti più concrete del ddl è quella che finalmente riconosce che un figlio può avere domicilio presso entrambi i genitori, anche se la residenza anagrafica, per legge, deve restare unica.
Sembra una formalità? In realtà è un cambiamento potente. Perché significa che nessuno dei due genitori viene più considerato “ospitante” o “secondario”.
È un segnale simbolico fortissimo, e chi ha passato una separazione con figli lo sa: le parole usate nei tribunali e nei verbali incidono sulla percezione sociale e personale del ruolo genitoriale.
Basta con il “genitore prevalente” e il “genitore non convivente” – espressioni che sanno di passato. Se davvero vogliamo una società dove entrambi i genitori sono importanti, allora il linguaggio deve seguirlo.
E non si tratta solo di parità di trattamento tra adulti: è anche una questione di identità per il bambino, che non deve crescere sentendosi “di mamma” con un papà a tempo determinato, o viceversa.
Certo, resta il nodo logistico: come si gestisce il doppio domicilio se i genitori vivono in città diverse? La risposta non sta in una norma rigida, ma nella responsabilità e nella collaborazione. E quando questa manca, c’è il giudice. Ma almeno si afferma un principio finalmente chiaro: nessun genitore è di serie B. Mai.
🟣 Lo sguardo di Benedetta
Non si tratta solo di leggi, e chi scrive e porta questo tema se lo deve ricordare. Ma non solo, anche noi genitori, i primi interessati, dobbiamo porre attenzione a ciò che succede e come agiamo in questa situazione.
Dove si trova il confine tra ciò che proviamo e ciò che è giusto per i figli?
Non sono un’esperta di leggi, ma lavoro da anni con persone che vivono la separazione, e ciò che vedo più spesso è quanto la componente emotiva possa influenzare profondamente la reale tutela dei figli.
Una relazione finita porta con sé rabbia, delusione, senso di fallimento. Ma che impatto hanno queste emozioni sul comportamento dei genitori e sulla concreta possibilità di garantire la bigenitorialità durante una separazione?
Leggendo alcuni articoli, mi colpisce quanto spesso emergano polarizzazioni che, invece di costruire un cambiamento vero e migliorativo, alimentano l’odio tra le parti. Le persone finiscono per sentirsi attaccate, si difendono, e a loro volta attaccano.
In questo susseguirsi di azioni e reazioni, il conflitto cresce e ci si allontana sempre di più da un punto d’incontro.
Il dolore di un genitore che vive i figli “a metà” può essere enorme. È qualcosa da accogliere, elaborare, su cui lavorare. Ma quel dolore non può diventare la causa per cui un figlio vive con fatica e sofferenza la separazione dei suoi genitori.
Ci sono moltissimi esempi di separazioni che funzionano: genitori che collaborano, che – al di là delle leggi e delle proprie emozioni – si impegnano a fare il meglio per i figli.
Adulti che si prendono la responsabilità di gestire le proprie emozioni per poter continuare a essere genitori nel modo più sano possibile.
“Due case, due vite, magari anche lontane fra loro: può essere questo il superiore interesse del minore?”
“Lanciare l’allarme su un ddl che ‘taglierebbe’ i figli a metà in caso di separazione e che, privilegiando la bi-genitorialità a tutti i costi come diritto dell’adulto, non li tutelerebbe in caso di genitore violento.”
Frasi come queste parlano alla paura.
Estremizzano. Polarizzano.
Usano casi specifici – come quelli di violenza – per parlare a nome di tutti.
Ma ciò che davvero serve, se si vuole costruire un cambiamento reale e condiviso, è un approccio più consapevole, più neutro, più responsabile.
4. Mantenimento diretto e contributo equo: fine del padre-bancomat?
Marco:
Una delle parti più importante del ddl è quella che prevede, come regola generale, il contributo diretto da parte di ciascun genitore alle spese ordinarie e straordinarie dei figli, in base alle proprie capacità economiche. Tradotto: niente più assegni da versare a una sola persona, tranne nei casi in cui sia necessario. È una prassi che stava già prendendo piede in molteplici decisioni dei tribunali ma qui verrebbe legittimata direttamente dalla legge.
Questo punto, per chi ha vissuto certe situazioni, non è solo una questione economica, ma anche simbolica. In molti contesti l’assegno è diventato un’arma di scambio o di potere, usata in modo punitivo o strumentale.
Con il mantenimento diretto, invece, entrambi i genitori restano coinvolti nella gestione della vita concreta dei figli: spese scolastiche, mediche, vestiti, attività sportive… Non si delega più tutto a uno solo, non si trasforma l’altro in un semplice erogatore di fondi.
Naturalmente, il ddl specifica che questa modalità va calibrata in base alle capacità economiche di ciascuno. Nessuno vuole che il genitore con un reddito molto basso sia caricato di spese insostenibili. Ma almeno il principio di equità viene finalmente messo nero su bianco.
E in più: il testo tiene conto del tempo di cura effettivo dedicato al minore. Cosa che finora non accadeva. È una buona notizia anche per chi si impegna ogni giorno senza che questo venga riconosciuto economicamente.
5. Alienazione parentale: esiste, anche se non si chiama Sindrome
Marco:
L’alienazione parentale esiste, è un dato di fatto. Lo sanno gli avvocati, lo sanno i giudici, lo sanno i padri (e anche alcune madri) che ci convivono ogni giorno.
Quello su cui la psicologia non si pronuncia in modo unanime è l’esistenza di una sindrome – quella che in alcuni paesi è chiamata PAS (Parental Alienation Syndrome) – ma solo perché in psicologia la parola sindrome ha un significato preciso e clinico, che presuppone criteri diagnostici validati, test riproducibili e modelli universalmente accettati.
Non siamo nel campo della diagnosi medica. Ma che certi comportamenti manipolatori esistano è fuori discussione. E fanno danni reali.
Senza usare termini controversi, il ddl 832 introduce misure di contrasto ai comportamenti ostativi: ossia a quegli atteggiamenti messi in atto da un genitore (o dai suoi familiari) per impedire, ostacolare o sabotare il rapporto dei figli con l’altro genitore.
La legge prevede sanzioni, ma anche azioni di ripristino del rapporto – ad esempio, modifiche nella collocazione, sospensione della responsabilità genitoriale, e perfino collocamento presso terzi in casi gravi.
Ora, chi ha interpretato ‘collocamento presso terzi’ come ‘orfanotrofio obbligatorio per bambini con genitori litigiosi’… forse dovrebbe rileggerlo con più calma. O di leggere tutto il comma. Perché queste misure sono subordinate a valutazioni gravi e specifiche, e rappresentano casi estremi.
Ma almeno, finalmente, si riconosce che ostacolare l’altro genitore non è una marachella educativa: è una forma di abuso. E che il danno, lo ripetiamo, non lo subisce il genitore escluso, ma il figlio privato della sua libertà di amare entrambi.
6. “E se il padre è violento?” – La domanda giusta, ma da porre con lucidità
Marco:
Una delle critiche più martellanti al ddl 832 è che favorirebbe la bigenitorialità “a prescindere”, anche in situazioni in cui uno dei due genitori è violento, abusante o pericoloso. Non è vero.
Nel testo si parla chiaro: la frequentazione paritetica vale “salvo che ciò sia contrario all’interesse del minore”. È esattamente ciò che dice già la legge attuale, ma con un’aggiunta importante: il ddl riconosce che la bigenitorialità non è un diritto degli adulti, ma un diritto del figlio – il quale ha diritto a un rapporto sano con entrambi i genitori, quando possibile.
Se ci sono atti documentati di violenza, abusi o gravi carenze educative, il giudice può (e deve) limitare la responsabilità genitoriale. Può anche sospenderla. E può escludere del tutto un genitore, come già avviene oggi.
Il ddl non obbliga mai a mantenere relazioni dannose “in nome della parità”. Non c’è scritto da nessuna parte che “i figli devono stare con entrambi i genitori anche se uno è pericoloso”. Il punto è un altro: non si può presumere che il padre sia inadeguato solo perché è padre. O che ogni conflitto implichi un rischio per i minori. Perché se l’unico modo per tutelare un figlio è eliminare preventivamente un genitore, abbiamo un problema ben più grosso delle aule giudiziarie.
7. Ma le madri sono sempre buone e i padri sempre cattivi, giusto?
Marco:
Leggendo alcune dichiarazioni pubbliche, lettere aperte, e raccolte firme indignate contro il ddl 832, mi è sorto un dubbio: abbiamo letto lo stesso testo?
(chi fosse interessato, trova il testo integrale alla fine dell’articolo, oppure su https://www.senato.it/service/PDF/PDFServer/BGT/01446603.pdf )
Perché se ne esistono due versioni, una dice “tutela il diritto dei figli a mantenere relazioni significative con entrambi i genitori” e l’altra (che non trovo però) pare scritta da un Villain Disney, tipo: “i bambini verranno affidati a padri violenti e chiusi in orfanotrofio se mamma non acconsente”.
Ora, io posso capire il sospetto, la cautela, la necessità di tutelare le madri da automatismi che le hanno svantaggiate per secoli. Ma qui c’è un altro problema: ci sono associazioni che si sono auto-diplomate “genitore universale abilitato”, e che se ti azzardi a dire “anche i padri contano”, ti urlano dietro che sei patriarcale, revisionista e probabilmente pure simpatizzante del medioevo.
Il messaggio è: le madri sono brave per definizione, i padri vanno monitorati per default.
Il tutto con il tono di chi pretende che il ddl 832 venga bruciato vivo senza manco averlo letto. O al massimo scrollato distrattamente mentre firmavano la petizione su Change.org tra una story su Instagram e un reel indignato.
Ecco, io credo che il diritto alla genitorialità non si erediti per genere. Si costruisce ogni giorno con responsabilità, presenza, ascolto. E questo vale per tutti, madri e padri. Ma chi crede di avere sempre ragione solo perché è donna e madre… non sta difendendo i figli. Sta difendendo un’idea di sé.
🟣 Lo sguardo di Benedetta
Fatico sempre molto a vederne il lato positivo. Usare determinate parole e insinuazioni a chi giova esattamente?
Le parole polarizzano. Le insinuazioni dividono.
Spingere i genitori separati a schierarsi, a partire da ciò che temono di più, non è fare il bene dei figli. È creare un’onda emotiva che genera solo fratture e dolore.
Frasi come quelle cavalcano il dolore, la rabbia e la delusione. In che modo dovrebbero tutelare i figli dei separati?
I veri cambiamenti, quelli che migliorano la vita delle persone, si costruiscono insieme.
Iniziare a parlare, ad esempio, di “stalking genitoriale” invece di “maternità malevola” o “paternità machista” aiuta a uscire dalle etichette di genere e ad affrontare il conflitto genitoriale in modo più equo e costruttivo.
Solo così si può davvero tutelare l’infanzia dai giochi di potere fra adulti che – spesso – non riescono a gestire il conflitto, né emotivamente né concretamente.
Ma non solo, penso che sia necessario anche offrire a questi adulti strumenti concreti, spazi sicuri dove potersi esprimere, elaborare e riconoscere i propri limiti. Perché alla fine, al di là delle leggi e delle parole dette online, ci sono le vite reali, quelle che ogni giorno ognuno di noi vive e in cui sceglie come agire e cosa dire o non dire.
L’educazione emotiva potrebbe diventare una risorsa fondamentale per favorire la collaborazione tra genitori, anche quando la coppia non esiste più.
Conclusione (a voce congiunta)
La discussione sul DDL 832 rappresenta molto più di un semplice dibattito legislativo. Tocca il cuore di ciò che significa essere famiglia dopo una separazione, e soprattutto cosa significa mettere davvero al centro il benessere dei figli.
Dopo aver analizzato attentamente il testo, emerge una verità che va oltre le ideologie: la bigenitorialità non è un premio per i genitori, ma un diritto fondamentale dei bambini. Un diritto che non dovrebbe essere sacrificato né sull’altare del conflitto tra adulti, né su quello delle semplificazioni ideologiche.
Il DDL 832 non è perfetto. Come ogni proposta legislativa, contiene luci e ombre, aspetti promettenti e altri che meriterebbero ulteriori riflessioni. Ma ridurlo a una “guerra tra generi” o a una norma che metterebbe a rischio i bambini significa non averlo compreso – o peggio, non averlo nemmeno letto.
Dietro ogni discussione su affidi, domicili e mantenimenti, ci sono storie vere, emozioni profonde, ferite che faticano a rimarginarsi. Ci sono bambini che osservano i loro genitori con occhi attenti, assorbendo ogni parola, ogni gesto, ogni tensione non risolta. Questi bambini non chiedono perfezione, ma presenza autentica e amore sicuro da entrambe le figure genitoriali che hanno contribuito a formare la loro identità.
La vera sfida non è stabilire chi ha ragione tra madri e padri, ma come costruire un sistema che protegga il diritto dei figli a crescere con entrambi i genitori, quando possibile e sicuro. Un sistema che riconosca che la genitorialità non si eredita per genere, ma si costruisce con presenza, responsabilità e amore quotidiano.
Per questo crediamo che il dibattito su questa proposta di legge meriti più attenzione, più profondità e soprattutto meno polarizzazione. Perché quando le acque del conflitto si placano, ciò che resta è la vita dei bambini. E sono loro che meritano il nostro impegno per costruire un modello di famiglia separata che, pur nelle difficoltà, riesca a mettere da parte rancori e paure per il loro bene.
In fondo, ciò che i figli non hanno mai chiesto è di dover scegliere tra mamma e papà. Non dovremmo essere noi adulti a imporglielo, né con le nostre azioni, né con le nostre leggi. E forse, il vero cambiamento inizia proprio da qui: dalla capacità di guardare oltre il proprio dolore per vedere quello dei propri figli, e trasformare la fine di un amore nell’inizio di un nuovo modo di essere famiglia.