Cari lettori,
bentornati al nostro incontro periodico di “Divorziati Anonimi”, dove il primo passo è riconoscere che il proprio matrimonio non funzionava… e in questo caso il secondo obiettivo è capire come deve continuare a funzionare la casa.
Oggi parliamo di un tema sempre più attuale, nato da una domanda arrivata allo Studio Legale Rutigliano Trasatti, nostri complici abituali in questi botta e risposta: che succede se i figli si trasferiscono all’estero per studiare o lavorare?
La casa coniugale resta assegnata al genitore presso cui vivevano o va restituita?
Iniziamo.
Quando i figli cambiano città per motivi di studio, la casa resta assegnata?
LIBAD: Sempre più ragazzi volano all’estero (o comunque cambiano città) per studiare o lavorare, e molti genitori restano a chiedersi: se i figli non vivono più nella casa familiare, ha ancora senso che resti assegnata a uno dei due?
In altre parole: se tuo figlio ha più miglia accumulate su Ryanair che sul divano del salotto, la casa è ancora “sua”?
RT: La domanda è più che legittima, soprattutto da parte di quegli uomini (si, nella maggior parte dei casi sono uomini) che magari da dieci o più anni sono “fuori casa” pur essendo proprietari esclusivi della casa coniugale (per la quale continuano a pagare una corposa rata di mutuo …)
Il fatto che un figlio studi all’estero non comporta un automatico diritto alla revoca del provvedimento di assegnazione della casa coniugale atteso che il giudice, come sempre accade, deve ponderare attentamente le circostanze concrete del caso in questione.
Certamente se un figlio si è da tempo trasferito in altra città ed il corso di studi procede regolarmente o, a maggior ragione, inizia a lavorare un po’ diventa ragionevole presumere che la sua cameretta nella casa dei genitori non verrà più utilizzata e, quindi, l’assegnazione della casa ha perso il suo presupposto legale.
La Cassazione (tra le altre, sent. n. 18588/2016) ha chiarito che, se il figlio vive altrove in modo continuativo, la casa può essere revocata o destinata ad altro uso, anche su istanza dell’altro genitore.
Naturalmente, rientra nella fisiologica discrezionalità del giudice determinare quando sussista questa continuatività di cui parla la Cassazione.
LIBAD: Tradotto: se tuo figlio è a Londra da due anni e torna a casa solo per il pranzo di Natale (riuscendo anche a discutere su Brexit e su chi deve sparecchiare), quella non è più “abitazione principale” ma “set nostalgico”. E la legge non tutela la nostalgia.
E se i figli tornano nei weekend o per le vacanze?
RT: Se il rientro al focolare domestico è frequente o quantomeno rilevante i Giudici spesso ritengono di non poter revocare l’assegnazione.
La Corte di Cassazione nel 2024 ha ribadito che permane l’interesse dei figli a mantenere l’habitat familiare anche se frequentano l’università fuori sede, a patto che mantengano un collegamento stabile con la residenza del genitore
Molto recentemente un giudice del Tribunale di Milano ha sottolineato come il particolare attaccamento della figlia maggiorenne che studia nel Regno Unito, giustifica la conservazione di quell’habitat rappresentato proprio dalla casa coniugale (attico in pieno centro di Milano, con buona pace del marito proprietario….)
LIBAD: Quindi non basta tenere una cameretta piena di peluche e poster degli anni ’90 per conservare la casa.
Se il figlio ormai vive tra coworking e tapas bar, quel letto vuoto non mantiene un diritto: è solo un monumento affettivo.
E da quanto so, la legge non tutela i santuari della nostalgia genitoriale.
E se i figli iniziano a lavorare ma non sono ancora del tutto autonomi?
RT: in questo caso molto spesso, a fronte del ricorso di un genitore desideroso di vedere il figlio collocato altrove (ricordate l’esilarante film francese “Tanguy”?) , i giudici stabiliscono un termine entro il quale le parti dovranno ripresentarsi in Tribunale per verificare quale evoluzione ci sia stata. Se il lavoro è stabile ed idoneo a consentire al giovane di reperire un alloggio in autonomia, beh allora il provvedimento di assegnazione deve essere revocato.
LIBAD: Quindi se tuo figlio fa il barista a Ibiza “per fare esperienza di vita”, l’assegno non si tocca.
Ma se lavora stabilmente in una multinazionale a Berlino, forse è tempo di rivedere assegno e chiavi di casa.
Finché mamma e papà pagano affitto e spesa, non si parla di indipendenza: è start-up familiare non ancora in utile.
Per concludere, vediamo adesso di affrontare alcuni aspetti pratici.
Se si ritiene che non sussistano più i presupposti per l’assegnazione, chi può fare qualcosa e cosa bisogna fare?
RT: Innanzitutto il soggetto legittimato ad agire (insomma colui che può avanzare la richiesta) è di norma il genitore non assegnatario della casa coniugale.
Tuttavia, in casi molto più rari, potrebbe essere anche il terzo acquirente dell’immobile oggetto di assegnazione.
Questi soggetti possono promuovere un ricorso (che dopo la tanto vituperata riforma Cartabia è quello previsto dall’art. 473 bis del codice di procedura civile) presso il Tribunale competente e chiedere che il giudice, dopo aver accelerato che le cose sono cambiate e sono venuti meno i presupposti sulla base dei quali a suo tempo la casa era stata assegnata, revochi il provvedimento di assegnazione.
La causa, di norma, presenta una fase istruttoria abbastanza concisa con conseguente improbabile dilatazione dei tempi che però restano certamente non inferiori a un anno circa.
A quel punto il coniuge (non più) assegnatario occupa l’immobile senza titolo, con tutte le conseguenze del caso!
LIBAD: In pratica, non basta cambiare la serratura o appendere la targa “Casa liberata” sul citofono.
Finché non c’è un provvedimento del giudice, l’ex resta dentro legittimamente.
Ma una volta revocata l’assegnazione… restare diventa “occupazione abusiva”, e a quel punto il rischio non è solo emotivo ma anche economico.
Morale: se la casa non è più “dei figli”, il tempo delle scuse è finito — e inizia quello degli avvocati.
E se la casa è in affitto? Cambia qualcosa?
RT: Una curiosità è quella che riguarda l’ipotesi in cui la casa coniugale non sia di proprietà dei coniugi, ma sia condotta in locazione.
In questo caso, il provvedimento di assegnazione della casa comporta il subentro nel contratto di locazione del coniuge assegnatario, salvo che nellle condizioni di separazione ci si accordi diversamente e, come spesso succede, il coniuge non assegnatario resti quale “garante”.
In caso di revoca dell’assegnazione, il contratto di locazione torna ad avere le sue parti “originarie”.
LIBAD: Insomma, anche gli affitti hanno il loro karma.
Quando l’amore finisce, pure il contratto torna com’era: più equo, ma con meno illusioni romantiche.
La buona notizia? Nessuno ti potrà più rimproverare di non aver letto le clausole in piccolo.
Conclusione
In sintesi: l’assegnazione della casa familiare non è un diritto del genitore, ma una misura legata al benessere concreto del figlio.
Quando il figlio spicca il volo — Erasmus, lavoro o semplicemente vita adulta — quella casa smette di essere “famiglia” e torna a essere ciò che è: un immobile.
E come tutti gli immobili, ogni tanto va liberato.
Perché crescere un figlio significa anche imparare a lasciarlo andare… e a volte, a lasciare anche il soggiorno in cui guardavate i cartoni insieme.
La libertà, in fondo, è anche questo: saper restituire le chiavi, quando è il momento.
📦 TAKEAWAY LIBAD
- La casa coniugale resta assegnata solo se è ancora l’abitazione prevalente del figlio.
- Se il figlio vive stabilmente all’estero (anche per studio), l’assegnazione può essere rivista.
- I rientri occasionali (vacanze, weekend) non bastano a mantenerla.
- L’assegno di mantenimento resta dovuto fino alla reale autonomia economica del figlio.
- Il genitore non assegnatario può chiedere la revoca del provvedimento tramite ricorso ex art. 473-bis c.p.c.
- Se la casa è in affitto, l’assegnatario subentra nel contratto, ma in caso di revoca tutto torna com’era.
- E ricordate: tenere la cameretta in ordine non vale come titolo di proprietà.