Bentornati, cari divorziandi anonimi (o aspiranti tali).
Dopo la prima parte, in cui abbiamo provato a smontare con ironia l’idea del matrimonio come identità assoluta, eccoci alla seconda tappa del viaggio. Ora che sappiamo quanto la fusione totale con il ruolo matrimoniale possa farci perdere noi stessi (anche se le camminate della domenica possono sembrare carine), è tempo di capire meglio i segnali d’allarme che indicano che qualcosa non va.
Se vi siete già riconosciuti in qualche descrizione della prima parte, ricordate che non siete i soli: è successo a molti di noi! Anzi, questa potrebbe essere l’occasione perfetta per riflettere e, perché no, iniziare un percorso verso la vostra vera identità.
Segnali d’Allarme: quando il matrimonio diventa la tua identità
Allora, come ci si accorge che qualcosa non va? Che quella maledetta curva di successo (vedi prima parte) ha ormai preso il sopravvento, trasformando il matrimonio da ruolo a identità sostitutiva?
Riprendo ciò che dicevamo nell’altra puntata: presentarsi come “il marito di” o “la moglie di” non è automaticamente un problema.
La psicologa Susan Cross parla di “identità situazionale” – ovvero la capacità di adattare la propria presentazione al contesto sociale. È perfettamente normale (e appropriato) essere “il marito di Laura” alla cena aziendale di vostra moglie o “la mamma di Sofia” alla riunione dei genitori. È come avere un guardaroba con abiti diversi per occasioni diverse.
Il problema nasce quando indossate il “vestito da coniuge” anche per andare in palestra, al cinema con gli amici o al corso di ceramica. Non è che l’abito non vi doni, è che non c’è solo quell’abito nel vostro guardaroba!
Lo so, potrebbe sembrare difficile distinguere tra un sano adattamento ai ruoli e una vera e propria crisi d’identità? Alcuni segnali sono chiari come la luce del sole, ecco i principali:
- Difficoltà a descrivere sé stessi senza parlare del matrimonio
La psicologa Jennifer Freed parla di “personalità affogata,” una condizione in cui la persona si descrive quasi esclusivamente tramite il ruolo di coppia, come se quel “noi” fosse diventato l’unica definizione possibile di sé. Una buona chiarezza del concetto di sé (self-concept clarity), invece, permette di entrare e uscire dai ruoli senza confondere il proprio “io” con quello che si è in coppia. - Perdita di prospettiva sui propri desideri individuali
Gli esperti la chiamano “dissonanza desiderativa”: quando si arriva a credere che ogni desiderio coincida con quello della coppia, si rischia di perdere i propri bisogni autentici. Se fuori da contesti matrimoniali non si riesce a pensare ad aspirazioni, interessi e desideri indipendenti dal partner, probabilmente il ruolo ha preso il sopravvento. Chi ha un’identità bilanciata, invece, riesce a pensare a se stesso in termini personali anche all’interno della relazione. - Ogni decisione passa attraverso il vaglio “matrimoniale”
Il sociologo William Doherty parla di “CEO matrimoniale”: il coniuge che valuta ogni decisione come se dovesse presentarla agli “azionisti del matrimonio,” a scapito della propria autenticità. - Paura di deludere non il partner, ma l’ideale di “marito/moglie perfetto/a”
Quando l’ansia di fallire è rivolta al “ruolo,” più che al partner reale, si è probabilmente caduti in una fusione identitaria. La professoressa Stephanie Coontz descrive questo fenomeno come “guardiani del mito”: siamo più preoccupati di salvaguardare l’idea stessa del matrimonio che di viverlo autenticamente.
Se vi ritrovate in uno o più di questi segnali, può essere il momento di rimettere in discussione il copione. E no, non intendo farvi divorziare domani (anche se… se state leggendo questo blog forse ci state già pensando). Intendo ricordarvi che prima di essere “il marito di” o “la moglie di” eravate quella persona che sognava di fare il giro del mondo in barca a vela, o di aprire un chiringuito sulla spiaggia, o semplicemente di poter guardare tutte le stagioni di Breaking Bad in una maratona senza dover negoziare con nessuno.
Riscoprire l’identità oltre il matrimonio: il nuovo inizio
Chiudere un matrimonio può sembrare una frattura profonda, ma è anche un’opportunità straordinaria per riscoprire chi siamo davvero. Se fino a quel momento la nostra identità era stata modellata dal ruolo matrimoniale, ora ci troviamo di fronte a un nuovo capitolo, in cui possiamo finalmente fare i conti con le nostre passioni, i nostri sogni, e i desideri che avevamo messo da parte.
Per molti, questo è il momento perfetto per intraprendere un percorso di scoperta, usando strumenti concreti come:
- Journaling e riflessione personale: il journaling è particolarmente utile per chiudere con il passato e aprirsi al futuro. Annotare ciò che si desidera davvero su un diario, giornalmente, senza filtri, permette di capire cosa si vuole costruire d’ora in avanti. E’ un po’ come la Smemoranda ma senza tutti gli adesivi.
- Esplorare nuove esperienze: Sperimentare nuove attività e uscire dalla comfort zone permette di scoprire aspetti di sé inaspettati. Dalla cucina etnica ad un viaggio in solitaria, ogni esperienza può rivelare una parte sopita della nostra identità.
- Pratica della mindfulness: la mindfulness è uno strumento prezioso per riconoscere e lasciar andare i condizionamenti del passato. Aiuta a capire quali desideri sono autentici e quali, invece, sono stati interiorizzati per conformarsi al ruolo matrimoniale.
Se c’è una cosa importante da ricordare è che, usciti da un matrimonio, abbiamo un’opportunità unica di ridefinire il nostro copione. Non ci sono più aspettative da rispettare né ruoli da interpretare, solo una pagina bianca su cui scrivere la nostra storia.
Ecco alcuni spunti per creare una base resiliente e autonoma:
- Valorizzare la propria individualità: Iniziamo a riconoscere e coltivare ciò che ci rende unici, senza necessità di approvazione da parte di un partner.
- Costruire un supporto sociale indipendente: Una rete di amici, colleghi, e familiari che siano parte della nostra vita indipendentemente dalla coppia rappresenta un sostegno fondamentale.
- Sperimentare una “identità sfaccettata”: Non siamo solo ex coniugi o genitori, ma persone dalle mille sfaccettature. La psicologia definisce questo concetto “multifaceted identity,” un’identità ricca di interessi, obiettivi e valori diversi che non dipendono da una sola relazione.
Infine, ricordiamoci che costruire un’identità resiliente significa essere capaci di adattarsi, di crescere e di valorizzare ogni aspetto di sé indipendentemente dalle circostanze. Potremmo avere nuovi partner, nuove sfide o anche nuove separazioni, ma la nostra identità resterà sempre salda. Ed è proprio questa forza che ci permette di vivere in modo autentico, pronti a condividere la nostra vita senza mai perdere di vista chi siamo davvero.
Conclusione: recuperare sé stessi o voltare pagina? Scegli la Tua strada
Allora, siamo giunti al bivio. Dopo tutti questi segnali, ti starai chiedendo: “Ma io dove mi trovo? Sono uno di quelli che vuole ancora salvare qualcosa o sono già con un piede fuori dalla porta?” Bene, qualunque sia la tua risposta, c’è una buona notizia: in entrambi i casi potrai essere il protagonista della tua storia.
Se senti che il matrimonio può ancora darti qualcosa, prendi fiato, mettiti davanti allo specchio (letteralmente o metaforicamente) e chiediti: “Chi sono io?” (no, non vale rispondere “il marito di…” o “la moglie di…”). Inizia a reintrodurre piccoli spazi di indipendenza, magari un hobby che avevi abbandonato o una serata a settimana per te stesso. Recuperare il proprio “io” non significa lasciare il partner, ma uscire da quella fusione identitaria soffocante. Se riesci a recuperare il tuo senso di individualità, il matrimonio potrà diventare un’opportunità per condividere la tua vita, non per definirla.
Ma, se invece senti che il matrimonio ormai è come quei calzini troppo stretti che ti lasciano i segni sulla pelle, forse è il momento di voltare pagina. Un capitolo si chiude, certo, ma hai davanti una pagina bianca. E sai una cosa? Sei libero di farci scarabocchi, disegnarci arcobaleni, o scriverci una nuova storia d’amore che non si basa su un copione. Anzi, non c’è nemmeno bisogno che includa un co-protagonista.
Quindi, che tu resti o vada, ricordati una cosa: la vita non è quel diagramma ordinato di “successi” che qualcuno ha disegnato per noi. Siamo qui per fare esperienza, per esplorare, per inciampare nei nostri difetti, e sì, anche per ridere degli errori. Perché, alla fine, che tu sia il “marito di” o l’“ex di,” resterai sempre qualcosa di più: quella persona unica che merita di essere se stessa, indipendentemente dal ruolo che interpreta.