La storia di Barbara e il coraggio del 1975: divorziare per amore, rinascere per scelta

Tempo di lettura: 6 minuti

Cari lettori, bentornati al nostro incontro periodico di “Divorziati Anonimi”, dove il primo passo è riconoscere che il proprio matrimonio non funzionava… e il secondo è avere il coraggio di raccontarlo.

Questa sezione del portale è la nostra safe zone: uno spazio dove chiunque può condividere la propria storia senza giudizi, con rispetto, curiosità autentica e la consapevolezza che ogni percorso è diverso.

Oggi pubblichiamo una testimonianza speciale.
Una storia che arriva da un’Italia che molti di noi – anche tra i GenX – non hanno mai conosciuto fino in fondo.

È la storia di una donna che ha divorziato nel 1975, quando farlo significava andare contro la morale dominante, la famiglia, i giudizi sociali… e spesso anche contro se stesse.

Per capire davvero il contesto storico e culturale di quegli anni – quando il matrimonio era considerato indissolubile e il divorzio una minaccia all’ordine sociale – rimandiamo a questo articolo dedicato ai 55 anni della legge sul divorzio 👉 55 anni dalla nascita del divorzio: negli anni ’70 eravamo più moderni di oggi? Vediamo cosa è cambiato..

Qui, invece, raccontiamo una storia concreta.

Sì, il divorzio è stato una conquista di libertà sia per le donne che per gli uomini.
Ma oggi diamo voce a un vissuto femminile, perché capire cosa hanno attraversato le donne negli anni ’70 non riduce ne oscura l’esperienza maschile: la completa.

E aiuta anche noi uomini a comprendere meglio il mondo da cui proveniamo.
Capire cosa han vissuto le donne allora aiuta anche noi uomini – lettori, padri, ex-mariti, compagni – a comprendere meglio il mondo da cui proveniamo.

Recentemente ho incontrato una di queste donne.

Settantaquattro anni oggi, una lucidità brillante, una vita piena.
Alla vista del mio cappellino LIBAD, ha sorriso e mi ha raccontato – con la naturalezza di chi non deve più dimostrare niente a nessuno – che lei ha divorziato nel 1975.
Un anno dopo il referendum.
Quando farlo significava davvero andare contro buona parte della morale comune, magari anche la famiglia, i giudizi, i pregiudizi… e a volte persino il modo di pensare del paese in cui vivevi.

Le ho chiesto se fosse disponibile a condividere la sua storia con la nostra community.
Ha accettato con generosità, a condizione di rimanere anonima, per proteggere altre persone che facevano parte – e alcune tuttora fanno parte – della sua vita.
La chiameremo quindi Barbara: un nome di fantasia, ma una storia assolutamente reale.

Barbara fece una scelta che oggi, a distanza di cinquant’anni, profuma ancora di rivoluzione:
divorziare per amore, rinascere per scelta.

Chi era Barbara prima del divorzio

Barbara è cresciuta in un’Italia in cui il destino di una ragazza era praticamente predeterminato.
Non si trattava di scegliere se sposarsi: si trattava di quando.
Il matrimonio non era un’opzione, era un requisito sociale.

E questo non lo dico io. Lo dice lei, con una chiarezza che taglia come un coltello:

(il Matrimonio) «Era lo scopo principale di una ragazza.
Se non ti sposavi ti facevano sentire inadeguata.
Pensavo al matrimonio come la migliore possibilità di realizzarmi.
Al contrario mi sono trovata nuovamente costretta a seguire la volontà di un’altra persona.
Non più mio padre, ma mio marito aveva il diritto di dirmi come comportarmi.
Il mio sogno di libertà era naufragato.»

È una frase che contiene un intero trattato di sociologia degli anni ’60 e ’70.
Un passaggio da “figlia” a “moglie” che non liberava, ma spostava la gabbia da un proprietario all’altro.

E da qui inizia la sua storia: da una giovane donna che scopre che la vita che sognava non coincide con quella che le è stata consegnata.

Che cosa rappresentava il divorzio per una donna nel 1975

Quando nel 1970 la legge sul divorzio è entrata in vigore, per molte donne italiane è stata una boccata d’aria… ma solo in teoria. La legge c’era, la libertà no.
La dipendenza economica, lo stigma sociale e la totale assenza di supporti rendevano quella scelta quasi impraticabile.

Barbara lo racconta così, senza drammatizzare, senza abbellire:

«Il divorzio era sicuramente un mezzo per emanciparsi.
Restava però un grosso problema: la dipendenza economica.
Al momento non lavoravo, non avevo alcuna fonte di reddito,
per cui era difficile decidere per la separazione.
E poi c’era la società: separarsi era ancora considerato uno scandalo.»

Questa è la parte che noi, generazioni successive, fatichiamo a comprendere:
la libertà formale non significa libertà reale.

Nel 1975, divorziare voleva dire rischiare tutto.
E nonostante questo, Barbara ha scelto di farlo.

Sapeva che la sua vita – quella che desiderava, quella che sentiva di meritare – non sarebbe iniziata se non avesse provato a cambiare strada.

Il salto nel buio: come Barbara ha trovato il coraggio di separarsi

Il coraggio, spesso, arriva quando la vita ci mette davanti a un bivio reale.
Barbara non si è svegliata un giorno dicendo “voglio divorziare”:
ha semplicemente sentito che restare significava smettere di esistere.

Poi è arrivato un incontro. Un’occasione. Una speranza.

E lei lo racconta così:

«Ho trovato il coraggio di separarmi grazie a un nuovo amore.
Conoscevo quello che poi sarebbe diventato il mio secondo marito da 4 mesi.
Poteva andare bene ma anche male.
La cosa più importante era un cambiamento: quel matrimonio mi stava troppo stretto.»

E mentre lei provava a salvarsi la vita, il mondo attorno crollava:

«Gli amici si sono volatilizzati.
La mia famiglia per 4 anni non ha accettato la mia scelta.
Sono stata stigmatizzata: ero una donna leggera, che non meritava nemmeno di essere salutata.»

Queste righe ci riportano indietro nel tempo più di qualsiasi libro di storia.
Divorziare non era solo difficile: era un marchio.

Eppure, Barbara ha mantenuto la schiena dritta.
E l’ha fatto con un principio che è un manifesto di dignità:

«Ho voluto mettere in chiaro con mio marito che la nostra storia era finita
e che avevo incontrato un altro uomo.
Essere stata sincera mi ha fatto sentire in pace con me stessa.»

Questa frase va scolpita sulle pareti del Ministero dell’Onestà Emotiva.

Ricostruirsi una vita: lavoro, identità, nuovi legami

Dopo la tempesta, arriva sempre una fase in cui si ricostruisce ciò che è stato spezzato.
Per Barbara, quella ricostruzione non è avvenuta dall’oggi al domani:
è stata un percorso attivo, consapevole, fatto di studio, lavoro, autonomia.

Lo racconta così:

«Sono stata molto fortunata: l’uomo che avevo scelto
mi ha aiutato a realizzarmi come persona.
Ho portato avanti le mie aspirazioni, mi sono resa indipendente e autonoma.
Ho trovato un lavoro che mi appassionava.
Per le persone della mia generazione ero da evitare,
ma con il mio compagno abbiamo trovato nuovi amici tra persone più giovani.»

Questa è la parte più bella di tutta la sua storia:
l’idea che la ricostruzione non avvenga mai da sola,
ma richieda qualcuno che ti vede, ti sostiene, ti lascia spazio.

E soprattutto richieda te.
Il tuo impegno, il tuo coraggio, il tuo desiderio di una vita diversa.

Il suo sguardo sulle coppie di oggi

Dopo aver ascoltato tutto questo, non potevo non chiederle cosa pensa
delle relazioni moderne, dei matrimoni di oggi, dei divorzi contemporanei.

La sua riflessione è equilibrata, affettuosa, e di una saggezza disarmante:

«Decisamente il mondo è molto cambiato.
Ho un dubbio sulle giovani coppie che alle volte,
alle prime difficoltà, mollano tutto.
L’amore va accudito, curato come una piantina che deve crescere.
La libertà di scegliere resta, comunque, primaria.»

È una lezione che vale più di molti manuali:
libertà sì, sempre.
Ma senza dimenticare che le relazioni non si autoalimentano.

Serve cura.
Serve presenza.
Serve impegno.

Il messaggio finale di Barbara

E poi arriva la frase che chiude un cerchio iniziato 50 anni fa.
La frase che qualsiasi persona infelice dentro un matrimonio dovrebbe leggere almeno una volta.

«Quella è stata la scelta migliore della mia vita.
Non arrendersi alle prime difficoltà,
cercare dentro di sé la forza per portare avanti le proprie aspirazioni.
Se la vostra vita non vi sembra degna di essere vissuta,
è il momento di cambiare.»

Barbara non dice “divorzia”.
Non dice “scappa”.
Dice: ascoltati.
Dice: non tradire te stesso.
Dice: sii leale con la tua verità.

Cosa ci insegna la storia di Barbara

1. La libertà non è un regalo: è una scelta difficile.
Nel 1975 non c’erano tutele, supporti o comprensione.
Eppure scegliere se stessi resta, allora come oggi, il primo passo verso una vita autentica.

2. L’amore non basta: serve spazio per esistere.
Una relazione senza libertà personale non è una coppia: è una gabbia elegante.

3. Lo stigma cambia forma, ma non deve guidare le nostre decisioni.
Il giudizio della società c’era allora e c’è oggi.
Il punto è non lasciarlo decidere chi siamo.

4. Ricostruirsi è possibile a qualsiasi età.
Indipendenza, lavoro, dignità, nuovi affetti:
la vita non finisce quando finisce un matrimonio.
Spesso comincia lì.

5. Non serve essere eroi: serve essere onesti con se stessi.
Barbara non ha sfidato il mondo:
ha smesso di tradire la propria verità.
Ed è la forma di coraggio più potente.

CONCLUSIONE

La storia di Barbara non è una favola.
È una strada reale, a volte durissima, ma percorsa con una dignità che illumina anche noi, oggi.

Non ci dice che il divorzio è la soluzione.
Ci dice che restare dove si soffre non è una virtù.
Che scegliere se stessi non è egoismo.
Che la libertà non è mai uno scandalo.

È un atto di responsabilità verso la propria vita.

Barbara lo ha fatto quando farlo significava andare contro il mondo.
Oggi, grazie a donne come lei, abbiamo un po’ più spazio per respirare.

📩 NOTA FINALE

Se la storia di Barbara ti ha toccato, se hai riconosciuto qualcosa di te, o se senti che la tua esperienza potrebbe aiutare qualcuno, sappi che su LIBAD c’è sempre spazio per te.

Se vuoi condividere la tua storia – in forma anonima o con il tuo nome –
puoi scriverci qui; daremo voce al tuo percorso.

Trovi tutte le storie che i nostri lettori hanno deciso di condividere con noi, nella sezione dedicata.

Vi diamo spazio perchè riteniamo che nessuno dovrebbe sentirsi solo quando decide che merita una seconda vita.

P.S. Il protagonista di ogni storia pubblicata riceve in regalo un gadget LIBAD.

Barbara ha scelto il nostro cappellino LIBAD. 😀

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