Cinquantacinque anni fa, il 1º dicembre 1970, l’Italia fece qualcosa di rivoluzionario:
decise che non era più obbligata a soffrire per sempre.
Fino a quel giorno il matrimonio era un patto eterno, non in senso poetico ma in senso strettamente amministrativo: una volta firmato, ti ci incollavi addosso come un tatuaggio mal riuscito. Non importava se eri infelice, maltrattato, tradito, invisibile o semplicemente incompatibile: la legge ti ricordava che “finché morte non vi separi” non era una figura retorica. Era un requisito tecnico.
Poi arriva la Legge 898, meglio nota come Fortuna-Baslini (fortemente sostenuta dai laici e in particolare dal Partito Radicale), e l’Italia entra finalmente nel mondo moderno.
Un mondo in cui due persone possono guardarsi negli occhi e dire: “non funziona più”.
E soprattutto: un mondo in cui lo Stato non ha più il diritto di costringerti a rimanere dove stai male.
Oggi, guardando indietro, sembra quasi ovvio.
Ma nel 1970 non lo era affatto.
La Chiesa gridava al collasso morale dell’Occidente.
Una parte della politica parlava di apocalisse, famiglia distrutta, giovani alla deriva.
Gli editoriali dell’epoca prevedevano che il divorzio avrebbe portato caos, poligamia, riti satanici e probabilmente anche la pioggia di rane (non scherzo, i toni erano quelli).
E invece no:
non è crollato nulla.
Non si è disintegrata la famiglia.
Non si è dissolta la società.
L’unica cosa che si è dissolta è stata l’idea che la sofferenza coniugale fosse un dovere morale, una specie di tassa esistenziale che tutti dovevano pagare in nome dell’ordine pubblico.
Un “dovere” che, più che morale, era l’eredità del matrimonio religioso indissolubile: un modello nato per tutelare patrimoni e successioni, non certo la felicità delle persone.
Il divorzio non ha distrutto i matrimoni.
Ha distrutto l’obbligo di rimanerci dentro quando diventano incompatibili, tossici o semplicemente finiti.
È stato la prima grande legittimazione della libertà affettiva in Italia.
E non è un caso se dopo il divorzio siano arrivate, come tessere di un domino, la riforma del diritto di famiglia, la fine della patria potestà, l’abolizione delle norme più violente e patriarcali (matrimonio riparatore, delitto d’onore, adulterio femminile come reato).
La possibilità di uscire da un matrimonio è stata il primo passo per riconoscere che la persona vale più dell’istituzione.
Il primo dicembre 2025 sono trascorsi 55 anni da quel giorno in cui, per la prima volta, questo Paese ha deciso di scegliere la libertà invece dell’apparenza, la dignità invece dell’abitudine, la felicità invece della rassegnazione.
I media non hanno dato grande risalto alla notizia ma secondo me questa non è solo una ricorrenza giuridica: È un compleanno – il compleanno della possibilità di ricominciare.
Il compleanno del diritto di non soffrire per sempre.
Com’era l’Italia prima del divorzio?
Prima di parlare dei 55 anni di libertà conquistata, vale la pena guardare com’era il mondo quando quella libertà non esisteva.
Il matrimonio non era un legame affettivo: era un vincolo amministrativo a tempo indeterminato
Senza il divorzio, sposarsi significava firmare un contratto a vita dove:
- non esisteva “fine rapporto”,
- non era prevista “incompatibilità caratteriale”,
- le ore di straordinario emotivo non erano retribuite,
- la disdetta non era contemplata.
Chi entrava, restava.
Felice, infelice, disperato, non importava.
Era la legge civile a garantirlo: “indissolubile” non era una metafora. Era la pietra tombale messa sopra ogni possibilità di cambiamento.
Il marito era il capo. La moglie era… beh, la moglie.
Non serve scavare nei documenti: basta leggere il Codice Civile del 1942, lo stesso in vigore nel 1970.
C’era scritto, nero su bianco:
- il marito era il capo della famiglia
- decideva la residenza
- amministrava i soldi
- rappresentava legalmente i figli
- la moglie doveva seguirlo ovunque (senza lamentarsi: non era previsto in nessuna circostanza)
Chi oggi rimpiange quell’epoca dovrebbe ricordare che rimpiange anche questo.
E magari farsi due domande.
Se tutto andava male, potevi al massimo separarti… ma restavi comunque sposato
La separazione era una specie di versione demo del divorzio: limitata, zoppa, senza funzioni importanti.
Potevi andare a vivere altrove, sì.
Potevi smettere di parlare col coniuge, sì.
Ma sulla carta restavi marito e moglie per sempre.
E non sto usando un’espressione retorica: per sempre.
Non potevi:
- risposarti,
- ricominciare legalmente,
- neppure riappropriarti pienamente della tua identità.
La vita ripartiva, ma solo a metà.
Il resto rimaneva incastrato nel limbo.
La reputazione contava più della felicità
In quell’Italia, ciò che teneva insieme i matrimoni non era l’amore.
Era la vergogna sociale.
Divorziare non si poteva.
Separarsi era scandalo.
Lasciare un marito violento era considerato un disonore per la famiglia di lei.
La salute mentale? Non pervenuta.
La felicità non era un obiettivo.
Era un lusso.
Non era un’epoca più sana: era un’epoca senza alternative
Questa è la parte che pochi hanno il coraggio di dire.
Molti matrimoni “che duravano 50 anni” duravano perché:
- la donna non aveva autonomia economica,
- non c’era tutela per chi subiva violenza,
- uscire da un matrimonio poteva significare perdere i figli,
- la società ostracizzava chi provava a cambiare vita.
E sì, nel frattempo esistevano anche chicche come il matrimonio riparatore
Mentre il divorzio era considerato una minaccia ai “valori”, nello stesso ordinamento giuridico convivevano perle come:
- l’adulterio femminile come reato (abolito 1968)
- il delitto d’onore con pena ridotta (abolito 1981)
- il matrimonio riparatore (abolito 1981)
Una società che impediva il divorzio per difendere la “sacralità della famiglia” era la stessa che permetteva a uno stupratore di evitare il carcere sposando la vittima.
Di quale “valore” stiamo parlando esattamente?
In sintesi, prima del divorzio non era più facile. Era solo più obbligato.
Il 1º dicembre 1970, per la prima volta, si è aperto un varco nella rigidità del matrimonio indissolubile.
E quando un varco si apre, non entra il caos.
Entra l’aria..
Quindi dal 1970 tutti maturi e pronti ad accettare il divorzio?
L’approvazione della legge sul divorzio nel 1970 non fu esattamente accolta con applausi e spritz in piazza. Al contrario: scatenò una reazione furibonda da parte dei movimenti conservatori dell’epoca, con la Chiesa cattolica in prima fila a guidare l’opposizione morale e politica. Per molti, il divorzio non era una scelta privata ma un attentato all’ordine sociale. Da qui nacque una mobilitazione nazionale che porterà, pochi anni dopo, a chiedere agli italiani di cancellare la legge appena conquistata.
E questa parte… merita di essere vista da vicino.
Il referendum del 1974: l’apocalisse annunciata che non arrivò
Le forze anti-divorzio, con la Chiesa in prima linea, ottennero la convocazione di un referendum per cancellare la legge del 1970.
Tutta la macchina mediatica cattolica si attivò. Campagne martellanti.
Comizi infuocati.
Fogli parrocchiali che profetizzavano l’Armageddon affettivo.
Il clima era così carico che certi editoriali facevano sembrare il divorzio una bomba atomica lanciata sui matrimoni italiani.
E invece?
Gli italiani votarono NO all’abrogazione:
59,3% a favore della permanenza della legge.
Fu una sorpresa epocale.
La prima vera sconfitta politica della Chiesa nella storia della Repubblica.
E soprattutto il segnale che il Paese era molto più maturo del suo sistema politico.
Gli italiani –i boomer, quelli che molti oggi dipingono come “tradizionalisti incrollabili” – capirono una cosa semplicissima:
Costringere due persone a restare insieme contro la loro volontà non è un valore: è un problema.
Fu un atto di maturità collettiva clamoroso.
Un Paese intero comprese che il divorzio non distrugge la famiglia: distrugge solo l’infelicità obbligatoria.
Dal 1970 al 2025: la vera rivoluzione non è il divorzio, ma il modo in cui lo viviamo
Quando parliamo di divorzio, molti immaginano una storia lineare: prima niente divorzio, poi arriva la legge, e da lì in poi tutti diventano moderni e consapevoli.
La realtà è che l’Italia ha fatto un salto straordinario nel 1970 e 1974… e poi, invece di continuare a correre, si è messa a fare slalom come un inglese ubriaco sulle piste da sci.
Vediamo cosa pensano le varie generazioni.
I Boomers hanno votato il divorzio, La GenX l’ha capito. Ora chi è che fa resistenza?
Il paradosso è questo:
- i Boomers nel 1974 hanno avuto il coraggio di dire sì alla libertà;
- la GenX – noi – ha trasformato il divorzio in un’occasione di rinascita, progettazione, consapevolezza;
- oggi… una parte dei trentenni e quarantenni fa il tifo per un ritorno al moralismo vintage che nemmeno i loro nonni avrebbero riconosciuto.
Perché?
Perché la cultura del “sbagliare è deprecabile, è fallimento” è tornata in grande stile.
E il matrimonio è diventato un campo di battaglia identitario: se ti separi, significa che non sei riuscito a essere felice, che non hai lavorato abbastanza, che hai mollato troppo presto.
Una narrazione tossica, estremamente moderna, che si spaccia per tradizione.
Ma è la vergogna 2.0, alimentata dai social, dalle apparenze e dal bisogno patologico di mostrarsi perfetti.
La GenX non ha paura del divorzio: lo legge per quello che è. Una scelta. Non un fallimento.
La nostra generazione ha:
- vissuto i matrimoni dei genitori (Boomers) spesso rigidi e silenziosi,
- visto divorzi fatti male,
- sperimentato il concetto che essere genitori non significa annullarsi,
- capito che la coppia non è la tua identità, ma una parte della tua vita.
Noi sappiamo che:
Il divorzio non rompe le famiglie. Rompe i conflitti, i silenzi, la finzione.
E soprattutto sappiamo che:
Restare insieme quando non si è più una coppia non salva nessuno. Distrugge tutti.
Per questo molti GenX vivono il divorzio come un atto di lucidità, non di fallimento. Come l’inizio di un nuovo capitolo, non la fine di una favola inventata da altri.
Millennials e GenZ: il paradosso tra idealismo romantico e pressione social
Qui le cose si complicano, e la realtà è molto più sfumata di quanto sembri.
Partiamo dai numeri: solo il 21% della GenZ pensa che il matrimonio sia “irrilevante”, contro il 39% dei Millennials di 20 anni fa. E ancora: il 93% della GenZ si dichiara interessato all’idea di matrimonio, con oltre il 40% già in relazioni serie. Sembra quasi che la GenZ creda nel matrimonio più dei Millennials.
E il divorzio? La GenZ è “more comfortable with the idea of divorce” – più a suo agio con l’idea rispetto alle generazioni precedenti. Per Millennials e GenZ, il divorzio non è necessariamente un disastro, ma una scelta di vita valida e talvolta empowering.
Quindi qual è il problema?
Il problema non è lo stigma del divorzio. È la pressione alla perfezione.
Uno studio del National Center for Family & Marriage Research ha trovato che GenX e Millennials hanno atteggiamenti simili verso matrimonio e divorzio, con circa il 40% di entrambe le generazioni che considera il divorzio “la soluzione migliore quando una coppia non riesce a risolvere i problemi”.
Ma c’è una disconnessione tra ciò che si pensa privatamente e ciò che si comunica pubblicamente.
Sui social, il divorzio non viene giudicato per quello che è – una scelta personale – ma per quello che dice di te:
- Non hai lavorato abbastanza sulla relazione
- Non hai fatto abbastanza terapia di coppia
- Hai scelto male fin dall’inizio
- Non sei abbastanza resiliente, maturo, paziente
Molte persone tra i 30 e i 40 anni hanno visto o sono state influenzate dai divorzi dei genitori Boomers, e questo ha avuto un impatto significativo sui loro atteggiamenti. Ma invece di creare cinismo – come era successo ai Millennials – la GenZ ha sviluppato un idealismo romantico più forte.
La GenZ vuole trovare “la propria anima gemella” e il 27% sta attivamente cercando “the one” (che ovviamente non esiste leggi il nostro articolo Il Principe Azzurro è morto (anzi non è mai esistito) ). Questa è la generazione cresciuta durante il COVID, con meno esperienze sessuali casuali rispetto ai Millennials, più conservatrice nelle relazioni.
Il paradosso è questo:
- Accettano razionalmente il divorzio come scelta legittima
- Ma emotivamente lo vivono come un fallimento nella ricerca della “perfezione relazionale”
Non è più il giudizio della Chiesa o della società tradizionale a pesare. È il giudizio della tua timeline Instagram. È il fatto che il tuo “couple account” dovrà chiudere. È che tutti i post del “#couplegoals” diventeranno imbarazzanti.
La GenX invece ha capito una cosa fondamentale:
Noi sappiamo che:
- Le relazioni evolvono
- Gli individui cambiano
- Il matrimonio non è un oggetto sacro
- La felicità non è un dovere
- La sofferenza non è un valore
E soprattutto: il divorzio non è un fallimento. È una scelta.
Una scelta che richiede coraggio, non vergogna. Una scelta che apre possibilità, non le chiude.
Quindi quando qualcuno oggi dice “mi sono separato”, non sta confessando una sconfitta. Sta semplicemente dicendo: “Ho scelto di essere felice invece di fingere.”
E questa, che piaccia o no a Instagram, è l’unica cosa che conta davvero.
Nel 1974 il divorzio era un tema ideologico. Oggi è un tema identitario.
E quando un tema diventa identitario:
- tutti hanno un’opinione,
- tutti giudicano,
- tutti hanno standard morali da applicare agli altri,
- e nessuno ha capito davvero un cazzo (lo possiamo dire, vero?).
Le persone non giudicano il tuo divorzio. Giudicano quello che immaginano significhi:
- sei instabile
- sei impulsivo
- sei narcisista
- hai scelto male
- non hai “tenuto duro”
- non hai fatto abbastanza terapia di coppia
- non hai letto i libri giusti
- eccetera eccetera
È una forma di narcisismo collettivo travestito da saggezza popolare.
Come GenX, consiglio di avere il coraggio che manca a molti: l’onestà.
Abbiamo vissuto abbastanza per capire che:
- le relazioni evolvono,
- gli individui cambiano,
- il matrimonio non è un oggetto sacro,
- la felicità non è un dovere,
- la sofferenza non è un valore.
E soprattutto:
La vita dopo il divorzio può essere migliore. Molto migliore.
Non perché ti separi. Ma perché finalmente ricominci a scegliere.
Non devi dimostrare niente. Cerca una consapevolezza tranquilla, persegui la resilienza senza fanfara. E ricorda: è meglio che i figli crescano in due case sane anziché in una sola, ipocrita.
In sintesi quindi lo stigma moderno cos’è davvero?
Un’aberrazione culturale.
Un mostriciattolo nato da:
- ignoranza emotiva,
- insicurezza personale,
- social che premiano i giudizi semplici,
- nostalgia di un passato che nessuno vorrebbe rivivere per davvero.
Il divorzio non è mai stato il problema.
Il problema è chi ha paura della libertà degli altri.
In 55 anni siamo passati dal “non puoi andartene” al “se te ne vai, sei sbagliato”.
La verità è che entrambe le posizioni sono idiote.
E che la strada giusta è sempre la stessa:
Scegliere la propria vita senza chiedere permesso a nessuno.
lo stigma non nasce dal divorzio. Nasce dalla paura del cambiamento.
E oggi siamo in un momento storico dove:
- molti rimpiangono un ordine che non hanno mai vissuto davvero,
- i social amplificano giudizi semplificati,
- la nostalgia vende più della complessità,
- e l’insicurezza personale si traveste da moralismo.
Cinquantacinque anni dopo: l’unica cosa che conta
Il 1º dicembre 1970, l’Italia ha fatto qualcosa di rivoluzionario.
Non ha distrutto la famiglia. Non ha causato il caos morale. Non ha portato l’apocalisse.
Ha semplicemente detto: la sofferenza non è obbligatoria.
Cinquantacinque anni dopo, quella scelta resta l’unica sensata.
Perché il vero fallimento non è divorziare. Il vero fallimento è svegliarsi ogni giorno fingendo di essere felici. Insegnare ai figli che l’apparenza vale più della verità. Restare in una relazione morta per paura del giudizio di persone che non vivranno la tua vita al posto tuo.
Nel 1974, milioni di italiani – i tuoi nonni, i tuoi genitori – hanno votato per la libertà contro le profezie apocalittiche della Chiesa, della politica, dei moralisti di professione.
Nel 2025, tocca a te avere lo stesso coraggio.
Non devi spiegazioni a nessuno. Non devi dimostrare che “hai provato abbastanza”. Non devi giustificare la tua felicità.
La vita dopo il divorzio può essere migliore. Molto migliore.
Non perché il divorzio sia magico. Ma perché finalmente è la tua vita.
E se qualcuno ti dice ancora che “una volta i matrimoni duravano”, ricordagli questo:
Sì, duravano. Anche quando si stava malissimo. Anche quando i figli crescevano in case piene di silenzio e rancore. Anche quando uno dei due moriva dentro un po’ ogni giorno.
Io preferisco una felicità vera a un record di resistenza.
Buon 55º compleanno, Divorzio. L’Italia fece la scelta giusta allora. E continua a essere l’unica sensata anche oggi.





