Confini personali post-divorzio: guida pratica per chi ha detto troppi “si” nelle relazioni – parte 1

Tempo di lettura: 7 minuti

Introduzione: bisogni propri, confini personali e saper dire di no

Coppia che si abbraccia e si chiede quali siano i confini personali

Immaginate la scena: siete seduti sul divano, finalmente avete un momento di pace dopo una giornata frenetica. Improvvisamente, il vostro telefono si illumina. È un messaggio della vostra ex (o del vostro ex) che vi chiede di cambiare il weekend con i bambini perché ha un “impegno importante”. Il vostro cervello va in tilt. Da un lato, avevate già pianificato quel fine settimana con i vostri figli. Dall’altro… dire di no vi sembra più difficile che spiegare la teoria della relatività ad un gatto.

Benvenuti nel meraviglioso mondo dei confini personali post-divorzio, dove capire i propri bisogni e farli valere è più complicato che risolvere un cubo di Rubik bendati.

Ma come siamo arrivati a questo punto? Come siamo passati dall’essere individui con gusti, preferenze e opinioni all’essere dei veri e propri campioni olimpici di “Sì, cara/o”? Per capirlo è necessario fare un viaggio nel tempo. Allacciate le cinture della DeLorean emotiva, stiamo per tornare al nostro matrimonio!

Ricordate quei momenti in cui avete detto “sì” al film romantico quando avreste preferito un bel film d’azione? O quando avete accettato di andare a quella cena noiosa con gli amici di lei/lui, anche se avreste preferito andare al concerto del vostro gruppo Rock preferito (che tra l’altro non viene in Italia da anni!)? Ecco, quelli erano i primi sintomi della “sindrome dello yes-man”, una condizione cronica che colpisce molti uomini sposati. I sintomi includono: perdita della capacità di dire “no”, scomparsa misteriosa dei propri interessi, e una strana tendenza a dire “Come vuoi tu, cara/o” anche quando si parla con il commesso del supermercato.

Ma attenzione: questa sindrome non è solo il risultato di una vita matrimoniale un po’ troppo accomodante. A volte, le radici affondano più in profondità, in quel terreno fertile (o meglio, paludoso) che chiamiamo “dipendenza affettiva”. Inutile dire che questa difficoltà non vale solo nei confronti dell’ex partner ma anche nei confronti dei nuovi. È come se avessimo un buco nero emotivo dentro di noi, che cerca disperatamente di essere riempito dall’approvazione altrui. Ne parleremo in modo specifico nell’articolo.

Qualsiasi sia la causa il risultato è lo stesso: Dopo anni di matrimonio, ci ritroviamo a guardare lo specchio e a chiederci: “Cosa voglio io veramente?”. E la risposta, troppo spesso, è un silenzio assordante, interrotto solo dal ronzio del frigorifero che ci ricorda che almeno lui sa cosa vuole (un estate meno torrida, grazie).

Ma non temete, cari lettori! C’è una luce in fondo al tunnel: è la possibilità di riscoprire chi siete veramente, di ricostruire i vostri confini personali, e di imparare l’importante arte di saper dire “no”.

In questo articolo, esploreremo come passare dall’essere un tappetino emotivo a diventare il protagonista della vostra vita. Parleremo di come riconoscere i vostri veri bisogni (no, guardare tutte le stagioni di una serie TV in un weekend non conta come “bisogno”), come stabilire confini sani (senza trasformarvi in una fortezza emotiva impenetrabile), e come dire “no” senza sentirvi in colpa.

Quindi, allacciate le cinture, signori. Stiamo per intraprendere un viaggio nel territorio inesplorato dell’assertività post-divorzio.

La psicologia dei Confini Personali: una panoramica

Okay, facciamo un piccolo gioco. Chiudete gli occhi e immaginate i vostri confini personali. Cosa vedete? Un muro di cinta degno del Trono di Spade? Una recinzione elettrifica stile Jurassic Park? O forse una linea tracciata sulla sabbia che si cancella ad ogni onda?

Ora, prima che pensiate che sto parlando di trasformarvi in fortezze emotive impenetrabili, lasciatemi chiarire una cosa: avere confini sani non significa essere freddi o distanti. Anzi, secondo una ricerca della Dott.sa Pia Mellody (1989), avere confini chiari può effettivamente migliorare le nostre relazioni. È come avere un buon sistema di sicurezza in casa: ti permette di aprire la porta con fiducia, sapendo che puoi sempre chiuderla se necessario.

Ma possono insorgere delle complicazioni (sarebbe troppo semplice altrimenti!): per alcuni di noi, specialmente quelli che hanno vissuto esperienze di “trascuratezza affettiva” nell’infanzia, i confini personali possono essere più simili a un colabrodo emotivo che a una porta ben oliata.

Ricordate quei bambini che nel parco giochi sembravano sempre un po’ “invisibili”? Quelli che i genitori notavano solo quando facevano qualcosa di “sbagliato”? Ecco, la psicologia li chiama “bambini non visti“, e molti adulti con dipendenza affettiva sono stati quei bambini. Come dice John Bowlby, il papà della teoria dell’attaccamento (sì, c’è un tizio che ha studiato come ci attacchiamo alle persone), questi piccoli sviluppano un attaccamento insicuro che può trasformarsi in una vera e propria dipendenza affettiva da adulti.

Immaginate di crescere pensando che l’amore sia come un distributore automatico capriccioso: a volte funziona, a volte no, e non sai mai quando otterrai quella barretta di cioccolato emotiva di cui hai disperatamente bisogno. Il risultato? Da adulti, potreste ritrovarvi a cercare l’amore come se fosse l’ultima confezione di farina durante la pandemia.

E qui entra in scena quella che lo psicoterapeuta Sheldon Kopp chiamava la “sindrome del bravo ragazzo” – quella tendenza a dire sempre di sì per paura di deludere gli altri o di non essere abbastanza “buoni”.

Questa compiacenza eccessiva non fa bene a nessuno. È come cercare di riempire la piscina del vicino con il vostro tubo dell’acqua: alla fine vi ritrovate a secco, mentre il vicino si gode un bel bagno rinfrescante.

Ma c’è una buona notizia. Secondo una ricerca del Dott. Wood del 2008, l’autenticità – essere fedeli a se stessi – è strettamente legato al benessere psicologico. In altre parole, più siete voi stessi (confini compresi), più siete felici.

Ovviamente la cosa è legata all’autostima, quella cosa che probabilmente ha preso una bella botta durante il divorzio. Rosenberg ha dimostrato (1965) che c’è una forte connessione tra autostima e capacità di stabilire confini. È un circolo virtuoso (o vizioso a seconda dei casi); Marzullo potrebbe chiedere “l’autostima ti aiuta a stabilire confini, o stabilire confini aumenta la tua autostima?” La risposta è ovviamente sì.

Quindi, cari lettori, se vi sentite come se i vostri confini fossero stati calpestati più volte, sappiate che ricostruirli è possibile: nei prossimi paragrafi proveremo a darvi qualche trucco per farlo.

Ma prima, un piccolo esercizio: la prossima volta che qualcuno vi chiede di fare qualcosa, invece di rispondere automaticamente “sì”, provate a dire “Ci penso e ti faccio sapere”. È come mettere il piede nella porta dei vostri confini. Non la state sbattendo in faccia a nessuno, ma vi state dando il tempo di decidere se volete davvero aprirla del tutto.

E ricordate: stabilire confini non vi rende cattivi. Vi rende umani. E, diciamocelo, dopo un divorzio, un po’ di umanità è esattamente ciò di cui abbiamo bisogno.

I confini durante il matrimonio: L’erosione silenziosa

Il matrimonio è quel momento in cui due persone decidono di condividere tutto: la casa, il conto in banca e, a quanto pare, i confini personali. È come se al “sì, lo voglio” seguisse un implicito voglio anche fondere la mia identità con la tua fino a non capire più dove finisco io e dove inizi tu.

Ma come si arriva a questo punto? All’inizio del matrimonio, spesso le identità sono solide e ben definite. Poi, lentamente, le onde dell’amore (e delle aspettative sociali) iniziano a erodere le mura dei confini di uno dei due (generalmente di quello che oppone meno resistenza).

Secondo uno studio di Gottman e Silver del 1999, questa erosione dei confini può avvenire in modo così graduale che spesso non ce ne rendiamo nemmeno conto. È come quella dieta che vi siete ripromessi di iniziare “domani” per dieci anni di fila: un giorno vi guardate allo specchio e vi chiedete: “Da quando ho questa pancia da birra?”

Ma perché succede? Beh, in parte è colpa di quella cosa chiamata “fusione emotiva“, un concetto introdotto da Bowen nel 1978. In pratica, è come se voi e il vostro partner diventaste una creatura a due teste, di quelle che si vedono nei film di fantascienza di serie B.

Non dimentichiamoci della pressione sociale. I media ci bombardano con l’idea che un “buon marito” deve essere sempre disponibile, sempre d’accordo, sempre pronto a sacrificarsi.

Il risultato? Vi ritrovate a dire “sì” a cose che non volete fare, a sopportare comportamenti che vi danno fastidio, a mettere da parte i vostri sogni e desideri. Tutto in nome dell’amore e dell’armonia familiare.

Ma attenzione: questo non significa che tutto l’amore e il compromesso nel matrimonio siano negativi. Il punto è trovare un equilibrio.

La rinascita dei confini dopo il divorzio: un viaggio di riscoperta

Ci siamo già detti più volte che il divorzio può essere l’opportunità di cambiamento. Secondo Hetherington e Kelly (2002), il divorzio può effettivamente fungere da catalizzatore per l’auto-riflessione e il cambiamento personale. È come quando resettate il vostro cellulare: avrete anche la possibilità di ripartire da zero, senza tutti quei file inutili che rallentavano il sistema (leggasi: abitudini negative e dinamiche tossiche).

Il concetto di “crescita post-traumatica“, introdotto da Tedeschi e Calhoun nel 2004, suggerisce che le persone possono sperimentare cambiamenti positivi significativi in seguito a eventi di vita difficili. Chi lo avrebbe mai detto che dire la chiusure con il/la vostro ex potesse essere l’equivalente di essere morsi da un ragno radioattivo?

Ma come si fa a riconoscere i propri desideri e bisogni dopo anni passati a metterli in secondo piano? Potreste iniziare chiedendovi: “Se potessi fare qualsiasi cosa senza conseguenze, cosa farei?”.

La teoria dell’autodeterminazione di Ryan e Deci (2000) ci ricorda l’importanza di tre bisogni psicologici fondamentali: autonomia, competenza e relazionalità. Il divorzio, paradossalmente, può essere un’opportunità per soddisfare questi bisogni in modo più autentico. È come se la vita vi stesse dicendo: “Ricordi quei sogni che avevi messo nel cassetto? E’ ora di tirarli fuori e dargli una spolverata!”

Ricordate: ricostruire i propri confini è un processo. Ci saranno giorni in cui vi sentirete dei guerrieri emotivi invincibili pronti ad affrontare il mondo, e altri in cui vorrete stare a casa da soli davanti alla TV con una pizza ed una birra. Ed entrambe le cose vanno bene! L’importante è continuare a muoversi avanti, un passo alla volta.

E se vi sentite sopraffatti, ricordate le parole del grande filosofo Dory di “Alla ricerca di Nemo”: “Continua a nuotare, continua a nuotare”.

Fine della parte 1: i vostri Confini Personali hanno bisogno di fare una pausa

So cosa state pensando: “Ma come, proprio ora che stavo per diventare un maestro Jedi dei confini personali, mi lasci così?”. Non temete, giovani Padawan dei “no” ben piazzati! Questo è solo un intervallo strategico. Pensatelo come la pausa pubblicitaria durante il vostro film preferito: il momento perfetto per fare rifornimento di popcorn (o, nel nostro caso, di autostima).

Nella prossima puntata, ci tufferemo ancora più a fondo nel meraviglioso mondo dei confini personali. Parleremo di strategie pratiche per dire “no” senza sentirsi in colpa (sì, è possibile!), esploreremo come applicare questi nuovi super poteri nelle vostre relazioni post-divorzio, e altro ancora.

Quindi, prendetevi un momento per un momento per riflettere su tutto ciò di cui abbiamo discusso, e preparatevi per la seconda parte.

A proposito di ricostruzione personale: se non avete letto il nostro articolo Separazione: cosa fare nei primi 300 giorni. La tua guida per riscoprire te stesso/a , potreste approfittare per dargli un’occhiata 😉


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